Accostarsi all’opera di un autore quasi totalmente sconosciuto e praticamente ineseguito, ma al contempo di grande valore, al giorno d’oggi non è un’esperienza frequente.
In questo inizio di millennio molti tesori del passato sono già stati riscoperti e valorizzati, e si sente spesso dire che, scavando ancora nell'immensa, ma sfruttatissima miniera dei fondi bibliotecari, si può solo raschiare il fondo del barile.
Eppure, paradossalmente, proprio in un grande centro come Milano, in una città che i recenti studi di B. Churghin e di S. Mandel attestano come una delle prime culle della sinfonia, c’è ancora tanta, tantissima musica meravigliosa da scoprire, e questa prima raccolta di sinfonie di Antonio Brioschi ne è la prova evidente.
Con una nascita datata tra il 1688 e il 1690, Chelleri è il più “vecchio” dei sinfonisti milanesi. Per lui la sinfonia sembra un punto di arrivo. La datazione di quasi tutte le sue sinfonie resta incerta, ma possiamo supporre con una certa tranquillità che egli accolse e fece proprie solo in età matura le frontiere stilistiche che, da oltre un decennio, Brioschi e Sammartini avevano audacemente raggiunto. E quando, dopo aver scritto soprattutto opere teatrali e cembalistiche, divenne sinfonista e fautore della nuova musica strumentale, non risiedeva più in Italia, ma nel nord Europa, tra Germania e Svezia. E proprio in Svezia trovò terreno fertile per lo sviluppo del nuovo genere, poiché, sotto Federico I, si cercava di imprimere una svolta nella direzione del classicismo, come era appena avvenuto nel Ducato di Milano.
Il Chelleri sinfonista compie gesti decisi, netti e positivi, il suo fraseggio è chiaro, ottimista e stagliato.
Le Sinfonie milanesi sono le uniche sinfonie che
Zingarelli scrive in tre tempi e in uno stile molto ‘mitteleuropeo’ (le altre sono in unico movimento e apparentemente pensate quali ouvertures).
In questo senso è probabile siano un biglietto da visita per farsi apprezzare nella capitale arciducale e si possono datare non oltre i primi mesi del suo soggiorno a Milano (1784-85).
Seppur limitato a poco più di un decennio, il soggiorno nel capoluogo ducale si pone anzi quale chiave di volta della sua carriera. È Milano che gli dà il successo e i ruoli dirigenziali ottenuti dopo i cinquant’anni d’età, prima a Roma (direttore della musica di San Pietro) e poi a Napoli (direttore del Conservatorio e poi della musica in Duomo), saranno il pensionamento dorato di chi non potrà più mantenere i rapporti con la scena milanese.
Antonio Brioschi non ha lasciato molte tracce del suo passaggio. Ci rimangono soltanto le sue partiture e una lettera anonima nella quale lo si definisce “famoso”, compositore di “sommo gusto”. Ciò che però lo distingue da altri contemporanei è la sua straordinaria prolificità: di Brioschi ci rimangono, infatti, circa 90 sinfonie, scritte in meno di 30 anni, il che ne fa forse il sinfonista più attivo in assoluto. Se pensiamo che in quegli anni si componeva essenzialmente per commissione, ci appare evidente che il suo successo doveva essere grandissimo.
Nonostante il consenso che indubbiamente la musica di Brioschi incontrò in tutta Europa, non abbiamo documenti che attestino i suoi viaggi all’estero. In poche parole, non sappiamo se egli viaggiasse “fisicamente” con le sue partiture. Quello che sappiamo per certo è che a Stoccolma il suo stile fu apprezzato e studiato, forse anche grazie alla mediazione del contemporaneo Fortunato Chelleri (già Maestro di Cappella a Stoccolma, alla corte di Federico I). Sappiamo anche che incontrò la stima del mecenate musicale parigino Pierre Philibert de Blancheton, che acquisì decine di sue opere per la sua collezione.
Professore di Violoncello, e Compositore della Accademia di Milano".
Le informazioni certe sulla vita e sull'attività musicale di Francesco Zappa abbracciano un periodo che va dal 1717 al 1803.
Francesco Zappa nacque, probabilmente a Milano, nel 1717 e fu violoncellista e compositore. Le prime tracce della sua carriera risalgono al 1763-1764: in quegli anni, a Milano, conobbe e diede lezioni di musica al Duca di York, il quale successivamente lo volle al suo servizio come «Maestro di Musica», carica che rivestì fino al 1767, anno della morte del Duca.
Dobbiamo la conoscenza di questo compositore a Frank Zappa che, per un bizzarro gioco del destino, si imbatté nel suo omonimo sfogliando l’enciclopedia musicale Groove’s.
Le Sinfonie Op.2 furono pubblicate nel 1766 ad Amsterdam, dove Ricci si trovava da un paio d’anni, attratto dalle attenzioni degli editori e del pubblico olandese. Come ci suggerisce il percorso tonale che si snoda tra una sinfonia e l’altra, si tratta di brani legati da un sottile filo conduttore, una sorta di "opera unica". Tale opera è chiaramente divisa in due sezioni, la prima delle quali consta di tre sinfonie convenzionali (per quegli anni), mentre la seconda sviluppa ed esplora nuove possibilità aggiungendo uno strumento solista (quarta), ampliando la forma e riducendo il numero dei movimenti (quinta) o riducendo al massimo la forma e collegando i movimenti tra loro in un unico conciso respiro dal carattere di Finale (sesta).
Segno rivelatore del carattere unitario di questa Op.2 è proprio l’indicazione che troviamo sull’intestazione della sesta sinfonia: “Finale”. Se quest’ultimo brano è un finale è evidente che deve essere il finale di qualcosa che precede. Se poi guardiamo alle prime misure della prima sinfonia possiamo intuire si tratti di una sorta di ouverture che apre l’intera raccolta (il cui carattere può vagamente ricordare l’esordio delle “Nozze di Figaro” di Mozart).
Per il viaggiatore che giungeva a Weimar nei primi anni dell’Ottocento due erano gli imperativi: leggere Goethe ed ascoltare Hummel.
Johann Nepomuk Hummel (1778-1837) fu per i suoi contemporanei, come compositore e virtuoso al pianoforte, un autentico mito che solo Liszt riuscì più tardi ad eguagliare: Mozart lo ebbe come allievo prediletto, Goethe lo definì il Napoleone dei pianisti.
I quintetti di Hummel per pianoforte ed archi servirono da modello per il celebre Forellenquintett di Schubert, e al loro virtuosismo pianistico si ispireranno in seguito i compositori romantici, primi tra tutti Chopin e Liszt.
Nei primi anni del ‘700 Milano viene occupata dagli austriaci. La struttura sociale della città cambia radicalmente. Cambiano le
occasioni del far musica e cambia di conseguenza la natura stessa della musica, poiché un pubblico nuovo chiede musica nuova. Occorre, anzitutto, offrire un genere fresco e ottimista, tipico
delle fasi di cambiamento che accompagnano le grandi rivoluzioni culturali. La scomparsa delle tonalità minori è forse il tratto stilistico che più nettamente segna la discontinuità tra barocco e
classico.
Con oltre 50 sinfonie di sicura attribuzione, Brioschi occupa un posto centrale nella genesi del nuovo stile strumentale. La stima
di cui godeva è attestata in una lettera anonima, dove le sue sinfonie sono definite “Angeliche, di sommo gusto”. Vi si dice anche: “…più impegnati fa che sieno tutti gli istromenti, che
per contrario il Martino la maggior parte lo pone nella parte sola del primo violino”. Il Martino di cui si parla è Giovanni Battista Sammartini.
Le difficilissime sonate a quattro di Gioachino Rossini, eseguite con strumenti classici montati in budello.
Stefano Barneschi (violin I)
Fabio Ravasi (violin II)
Giuseppina Runza (violoncello)
Vanni Moretto (double bass)
Una registrazione effettuata nel giugno 2007 presso l'Abbazia di Mirasole
14 gennaio 1771. Il giovanissimo Mozart, che di li a poco avrebbe compiuto quindici anni, giunse a Torino reduce da una scottante
delusione: Maria Teresa d’Austria gli aveva negato il suo appoggio per un posto come musicista a Milano. Tuttavia il suo Mitridate re di Ponto aveva appena raccolto un enorme successo al
Teatro Ducale.
Due giorni dopo il loro arrivo, Leopold e Wolfgang sedevano proprio nella platea del Regio dove si dava l’Annibale in Torino di Paisiello. Questi, che era una vecchia conoscenza dei due salisburghesi, fu orgoglioso di presentarli ai più importanti personaggi della cultura torinese tra cui il grande violinista e compositore Gaetano Pugnani. Sicuramente il giovane Mozart e il quarantenne Pugnani, in quell’occasione ebbero modo di parlare del loro amico comune J. Ch. Bach la cui opera Artaserse aveva riscosso un grande successo a Torino giusto una decina di anni prima. Il soggiorno torinese di Mozart fu brevissimo: già il 31 gennaio era di nuovo sulla strada per Milano.
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