"Troppe volte abbiamo ceduto alla tentazione di considerare la svolta atonale dello scorso secolo come un unicum. Troppo spesso si è voluto vedere nei drammatici rivolgimenti vissuti dall’umanità su tutti i livelli, alle soglie del XIX secolo (geopolitico, scientifico, filosofico, artistico) una netta discontinuità con il passato.
Questa visione apocalittica ci ha spesso impedito un approccio diretto e spontaneo all’arte moderna e ha influenzato la produzione artistica stessa, dando il via ad una corrente pessimistica orientata a cancellare ogni legame con il passato e con il fondamento fisco e armonico del suono.
Infine si è voluto vedere nella cosiddetta Seconda Scuola di Vienna il baluardo di questa demolizione del passato.
Per molti questa visione si è tradotta nell’esperienza di “perdere il ‘900”.
Il ‘900 si è perduto...
Oggi sempre di più gli interpreti stanno “ritrovando” il ‘900 perduto. Stanno scoprendo che le speculazioni di Webern erano più simili a quelle di Bach che a quelle dei partigiani del serialismo integrale, e che Hindemith non scriveva note a caso (come è stato più volte detto), ma che si divertiva a creare figure e situazioni nuove con ironia e freschezza, come i compositori (per esempio Zani) che nei primi decenni del ‘700 si allontanavano dalle speculazioni del barocco e cercavano un nuovo stile basato sulla pulizia e sulla trasparenza della forma.
Ci si sta accorgendo che la ricerca di Bartok sulla musica popolare non è una sorta di “ultima spiagga”, ma che somiglia in maniera straordinaria alla ricerca portata avanti da Telemann nel corso della prima metà del ‘700, così come l’”arcaismo” del giovane Britten ha mille precedenti, per esempio in Chelleri.
E soprattutto ci si è accorti che tutti questi autori moderni scrivevano per strumenti montati in budello e che il suono del budello dava alla loro musica una vitalità, una flessuosità e una chiarezza di pronuncia a cui gli interpreti hanno troppo a lungo rinunciato."
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